martedì 5 gennaio 2010

Sentimenti: Il Centro. Un racconto di Luigi Grimaldi


Non so cosa mi ha svegliato. La camera è immersa nell’oscurità. Elena dorme, la sento respirare piano in modo regolare e rassicurante. Ho sete. So dove andare a cercare l’acqua. Nel buio, in punta di piedi, mi avvio nella direzione giusta. Le piastrelle sono piacevolmente fresche e lisce sotto la pianta dei piedi. Una bella sensazione. In cucina le foto di Elena sono sul tavolo. Non so dove le abbia scattate. Neppure quando. Le osservo distrattamente. Elena è una brava fotografa. Ha gusto e tecnica. Mi piace osservarla mentre si prepara a scattare: concentrata come un cacciatore che prende la mira, compresa come un felino che deve sferrare il suo attacco: paziente, guarda attraverso l’otturatore e aspetta. Aspetta di vedere quello che vuole lei. Non ha fretta, alza gli occhi, guarda l’ambiente, il contesto, per poi rituffarsi nel mirino. Calma, determinata, sicura che la “sua” foto ormai non può sfuggirle. Strane foto, queste sul tavolo. E’ come se fossero loro a guardare me. Dettagli architettonici. Li osservo e penso che per me non hanno alcun significato. Luci, ombre, oggetti, prospettive sconosciute, tutto senza un nome, un senso, un nesso, una funzione. E’ un altrove senza un quando. E allora perché continuo a fissarle? Perché mentre le osservo mi pare che mi giri la testa, che qualcosa inizi a pulsare piano dentro di me? Strana sensazione. Forse mi trema anche un po’ anche la mano, o forse me lo sono solo immaginato. Continuo a rigirarmele tra le mani e davanti agli occhi. Mi sento ipnotizzato, eppure so di essere lucido e sveglio. Direi perfino che da quelle immagini esca qualcosa. Qualcosa che fluttua verso di me e mi avvolge come una carezza. Una calma totale, come quando l’aria intorno si ferma un attimo prima che scoppi un temporale estivo. Una sensazione meravigliosa. Non capisco, non me lo spiego, non so cosa sia se non che è qualcosa di nuovo ed eccitante. Eppure so che arriva da quelle foto. E’ una carezza, dolce, calda, sensuale e rassicurante, di quelle che ti scaldano l’anima e ti mettono in pace col mondo. Le foto di Elena sono sempre bellissime, ricche di significati, di messaggi e di tutto quanto si cerca normalmente in una bella fotografia. Colori, sensazioni, ricordi. Odori, perfino. Ma queste foto sono diverse, non hanno nulla di tutto questo. So che le ha scattate lei, vedo bene che hanno il suo stile, ma, non so spiegarmi perché siano così diverse. Continuo a passarle, una ad una, da una mano all’altra, osservandole con tutta la concentrazione di cui sono capace a quest’ora della notte, cercando di capire da dove mi arrivi questa intensa emozione, questa ondata di sensazioni così forti, così nuove. C’è una finestra, un balcone pieno di fiori colorati, uno spicchio di cielo, appena sotto un cornicione. Non lo si vede nella foto. Lo si intuisce soltanto, perché sul muro se ne distingue l’ombra. C’è un vicolo, spezzato in due tra luce e ombra, in chiaroscuro, molto contrastato, col riflesso del sole che fa scintillare come uno specchio le pietre del selciato bagnato dalla pioggia. C’è anche una porta, con la tenda antimosche agitata scompostamente dal vento che solleva un foglio di carta che vola via e resta sospeso, “frizzato” accanto a un uomo che non conosco. Guardo, non capisco e le pulsazioni aumentano in frequenza e intensità. C’è differenza tra guardare e vedere e io guardo e guardo ancora quegli scatti senza riuscire a vedere ciò che intuisco. Che posto è? E’ come un déjà vu, ma senza il termine di paragone che di solito lo accompagna. Sono confuso, non capisco e non riesco a distinguere se questa strana emozione, che ormai è tanto potente da essere quasi fisica, si produca dentro o fuori di me. Una emozione che entra o una emozione che esce? Gesù, è vero che è molto tardi e fa caldo, ma sto delirando.

Mi sembra quasi che quelle immagini mi chiamino, come se fossi io stesso dentro quelle foto. Le pulsazioni aumentano ancora e d’un tratto mi sento immerso nelle foto, al punto che non riesco a distinguere tra me che le guardo, mentre le sto tenendo in mano, e me che da dentro la foto mi osservo, seduto nella mia cucina mentre guardo quella stessa foto. Mi vedo ma non percepisco due persone distinte, più che altro mi vedo come un’unica entità in due dimensioni. Ho paura, il cuore mi batte all’impazzata e sento il fiato corto. Voglio alzarmi, tornare subito a letto, cancellare questa improvvisa e inaspettata follia: voglio spezzare l’incantesimo. Cerco di resistere, ma è come se il richiamo delle immagini mi stesse trascinando via, come un vento avvolgente, come il canto di una sirena. Resisto, non voglio lasciarmi andare, non voglio essere inghiottito. Una brutta sensazione talmente forte e intensa, senza tregua, da tenermi inchiodato a un nodo di angoscia che sembra sul punto di spezzarsi, ma che non si spezza. Un nodo talmente presente, tangibile e vero da sembrare un dolore. Sto forse impazzendo? Cerco di stare calmo, di ragionare, nessuno è mai stato inghiottito da una foto. Ma questa forza misteriosa di travolge, mi sommerge, quasi mi soffoca togliendomi le forze e il respiro come una tempesta improvvisa, un caos turbinoso. Un uragano illuminato da bagliori bianchi che lampeggiano sulla casa col balcone e il cornicione. Nello spicchio di cielo le nuvole si inseguono a velocità pazzesca, tanto folle che temo che il cielo si spacchi in due, si apra. Sta per succedere qualcosa, lo sento, e il mio disagio aumenta. Sono davanti alla porta. E’ la tenda antimosche che mi viene incontro a folle velocità, si protende minacciosa verso di me come se i suoi filamenti fossero tentacoli. Ho paura, devo fuggire ma sono paralizzato. Poi la tenda esplode e pezzi di non-so-cosa volano in tutte le direzioni. Eccolo, adesso lo sento distintamente: è quel dolore che cercavo di mettere a fuoco poco fa e che ora si è materializzato. E’ in me, è al centro, ed è da lì che la tempesta si scatena. La chiave è il centro. Un nucleo profondo che trae forza dalla mia immobilità e si trasforma in ondate pulsanti che fanno entrare e uscire il dolore che così finisce per essere dentro e fuori da me allo stesso tempo, ma è anche dentro e fuori le foto e dentro e fuori la mia cucina. Tutto viene risucchiato al centro con violenza. L’onda pulsante, il canto della sirena, i pezzi della tenda, il balcone, la porta, l’uragano stesso che cresce e ora mi pare possa dominare tutto con una forza immensa. Mi schiaccia, tutto intorno a me urla, esplode e si disintegra per ricomporsi improvvisamente tornando indietro, a folle velocità, ancora e sempre al centro. E’ come se stessi per morire. Devo avere urlato. Anna si è precipitata in cucina, ha acceso la luce e mi guarda a bocca aperta, gli occhi sgranati, spettinata e sbigottita.

Sono madido di sudore e la mia faccia probabilmente racconta tutta l’angoscia dell’esperienza che ho appena vissuto. “Che c’è?” – chiede - “stai male?”. Non so cosa rispondere. La guardo ed è come se la vedessi per la prima volta. Non è solo bella, scalza, in mutande e spettinata, è molto di più: è qui. Potrei non vederla e saprei esattamente che ora è qui. “Le foto – balbetto indicandole sul tavolo con un movimento della testa – dove le hai scattate?” Mi guarda allibita. “Come dove le ho scattate? Mi stai prendendo in giro?”. “No, dico sul serio. E’ importante. Dove le hai scattate?”. Elena sembra preoccupata. “Ma, Pier – esclama fissandomi con dolcezza negli occhi - quella è casa nostra!”.

E’ un attimo, un lampo. E’ tutto quel che mi serve per capire. Casa nostra!! Casa nostra come la vede lei e come io non l’ho mai vista. E quelle foto….quelle foto sono quello che c’è dentro i suoi occhi. Quell’ uomo che non conosco sono io. Il caos, la tempesta, quello sconvolgimento terribile.. cos’è accaduto? Ho visto forse per un attimo il mondo coi suoi occhi? Mio Dio, Casa nostra, come se sinora, fino a stanotte, nulla avesse avuto un nome o una funzione, un ricordo, una vera emozione. Ho voglia di abbracciarla, di baciarla, di stringerla. E’ qui. Vorrei farle sentire quanto l’amo e quanto voglio, nonostante la paura, vedere ancora il mondo coi suoi occhi. La stringo. Sorride. “ Sei pazzo”, cinguetta con la voce che fa quando mi vuole. Ci baciamo e il suo calore mi avvolge e mi solleva. Ecco la sensazione. Dentro e fuori! Qual calore esce e entra in me, in lei, come un’onda, una carezza avvolgente. Dio come mi piace il suo odore. E’ la stessa sensazione di prima, ma ora il caos è morto e le ondate pulsanti sono ancora qui, ancora raccolgono i pezzi per spingerli al centro. Tremo, sorridendo: il centro è lei.

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